Editoriale - di Vincenzo Lapunzina
Ponte sullo Stretto? Si, ad una condizione. La Sicilia è la “chiave di tutto” ma non il bancomat dello Stato
Apr 12, 2024
La realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina per il governo regionale avrebbe dovuto rappresentare l’occasione per definire gli accordi, in materia finanziaria, tra lo Stato e la Regione Siciliana.
A Salvini, che aspira alla realizzazione dell’opera faraonica, andava posta una condizione: “niente accordi, niente ponte”, anche in considerazione del fatto che dell’imponente struttura ad averne vantaggio economico saranno gli imprenditori del nord, fin dal posizionamento della “prima pietra”.
In realtà la stessa condizione andava posta sull’attuazione dell’autonomia differenziata (iniziativa parlamentare del centro sinistra, partita nel 2001), la Sicilia è in “differenziata” dal 1946 ma a Roma non conviene ammetterlo e i siciliani alle Camere hanno sempre votato uomini e donne al servizio delle segreterie politiche e dei leader di partito.
Accordi al palo dal 1965 e ridefiniti, per Decreto Legislativo (la Costituzione non si può cambiare con un Decreto Legge) tra il 2016 e il 2017, in 170 minuti sono state tradite le legittime aspettative del popolo siciliano e svenduto il futuro dei nostri figli, sotto lo sguardo indifferente delle Istituzioni romane che avrebbero dovuto – costituzionalmente – vigilare e tutelare i diritti dei siciliani che godono (fino a prova contraria) della cittadinanza italiana.
Il 25 maggio 2016 dalle ore 16:50 alle ore 19 a Roma e il 28 luglio 2017 dalle ore 18:15 alle ore 19 a Palermo, sono le date in cui la Commissione Paritetica Stato-Regione si riunì per determinare i decimi di IRPEF e IVA spettanti alla Regione Siciliana, picconando la Costituzione e modificandola per Decreto Legge.
In quei 170 minuti la Commissione determinò di assegnare al popolo siciliano 7.10/10 di IRPEF e 3.64/10 di IVA, in palese violazione al dettato costituzionale che assegna, inequivocabilmente, alla Regione Siciliana, fin dal 15 maggio 1946 i 10/10 delle due imposte.
Solo per la cronaca, nel 2018 il pallottoliere della Ragioneria generale dello Stato ha rilevato un maturato IRPEF in Sicilia di € 7.922.455.694; nel 2017, invero, € 5.505.682.129 di IVA maturata.
Alla Regione Siciliana non verrebbe data la possibilità (!?) di verificare l’esattezza del maturato, ovvero il calcolo della “quota del reddito” prodotto nelle sedi operative in Sicilia dalle aziende che hanno sede legale altrove.
Per meglio comprendere, nel focus 2018 un punto decimale di IRPEF è valso 792 milioni e un punto decimale di IVA 550 milioni di euro.
Al lettore l’onere del conteggio e di riflettere sul maltolto, uscendo fuori dal perimetro della rassegnazione.
La domanda che in tanti ci poniamo è: perché il presidente Schifani non ha posto la condizione “niente accordi, niente ponte”? Sarebbe stato legittimo e aderente al giuramento che ha prestato all’inizio del suo mandato.
Insieme al resto dei tributi e imposte, che gli articoli 36 e 37 dello Statuto autonomistico (in vigore!) prevedono da destinare alla Regione Siciliana, Leggi finanziarie comprese (puntualmente disattese).
La sommatoria di tutto vale circa 20 miliardi di euro l’anno, che vengono negati al popolo siciliano.
Quindi la conditio sine qua non (a prescindere della reale necessità e priorità dell’infrastuttura, per quanto ci riguarda) sarebbe stata legittima e in discontinuità con la “leale collaborazione” tra lo Stato e la Regione Siciliana, tanto sbandierata ma sempre a danno dei restanti siciliani, molti dei quali non hanno avuto e non hanno, la possibilità di scappare da questa terra, definita da Goethe la “chiave di tutto” e non di certo il bancomat dello Stato.