Salviamo il Monte Mufara, vola la raccolta di adesioni. “Valutare soluzioni alternative”

La querelle sul Monte Mufara, quindi della realizzazione di una struttura in cemento armato a 1865 mt slm, che dovrebbe ospitare il telescopio Flyeye e gli equipaggiamenti ausiliari, appare come una partita a scacchi, che si gioca in una scacchiera nella quale il quadrante scuro rappresenta un buco nero dove – al passaggio, se non in condivisione di impegno – si rischia di rimanere “spaghettizzati” o accusati di antisviluppismo.
Da un lato i pro osservatorio, alfieri “stellari” e stellati, paladini del progresso e difensori del valore della conoscenza – pur non “essendo addentro il progetto” (opere edilizie e strutturali) – che si muovono in diagonale.
Dall’altro, invece, i pedoni, a favore del telescopio e non dell’osservatorio (3544 mc di volume edilizio), che si muovono, se pur una mossa alla volta, in maniera lineare.
A questi nelle scorse ore si sono aggiunti “torri”, “cavalli”, “re” e “regine”, di colore bianco.
Per carità, non ce ne vogliano i fior di scienziati, studiosi e professori universitari, che si sono spesi a favore della costruzione dell’opera di interesse scientifico e nazionale, in forza della Legge 136 del 9 ottobre 2023. Un tentativo rocambolesco per mettere una toppa a un iter autorizzativo che nemmeno la stessa Legge – approvata ad hoc – ha sanato e/o derogato.
Non ce ne vogliano neppure coloro che su questa imposizione consumerebbero il proprio business (questi si muovono alla stregua di una meteorite) e chi vorrebbe passare alla storia per avere promosso un’iniziativa di cotanta rilevanza internazionale, che appare nelle illustrazioni artistiche come un castello incantato (vedi immagine di copertina pubblicata sul sito dell’ESA).
Sulla cima del Monte Mufara anche l’UNESCO vede una strategia diversa di sviluppo sostenibile, rispetto alla costruzione di un osservatorio astronomico, in quanto è caratterizzato da un patrimonio geologico particolare.
A tal proposito le Associazioni ambientaliste, che da tempo hanno messo in discussione la realizzazione dell’opera, hanno inviato una nota ai vertici dell’organizzazione Geopark Unesco, ribadendo, tra molto altro, che la “Mufara costituisce la base comune delle successioni appartenenti ai domini paleogeografici Panormide e Imerese”; denunciano, altesì, che nella parte sommitale della montagna insistono “fossili sia afferenti alle formazioni triassiche che della Mufara”.
Su questo è d’accordo anche Valerio Agnesi, insigne geomorfologo, apprezzato a livello internazionale. Agnese, come molti altri, non ha esitato a sottoscrivere l’appello delle associazioni ambientaliste (clicca QUI per leggere).
Cosa chiedono le associazioni, sostenute da docenti universitari, imprenditori, studiosi, uomini e donne che coltivano l’interesse per la salvaguardia dell’ambiente, passando per don Vittorio Rizzone, Abate dell’Abazia di San martino delle Scale che è anche archeologo, nonché altri che si stanno man mano unendo all’accorato appello de “Salviamo il monte Mufara”?
“Fermare definitivamente i lavori sulla vetta di Monte Mufara, – si legge nella nota – di non forzare ulteriormente le procedure e di perseguire le soluzioni alternative esistenti, provvedendo alla protezione di un’area di grandissimo interesse naturalistico e paesaggistico nel Parco delle Madonie”.
Niente di straordinario nella Sicilia che ha dato i natali a Falcone, Borsellino e a una moltitudine di eroi brutalmente freddati perché invocavano il rispetto della Legge e della legalità.
Perché sul monte Mufara le Leggi (8), i vincoli (5) i regolamenti e la Costituzione, devono essere dribblate (di questo si tratta, considerando i palesi vizi da irregolarità procedurali) con una imbarazzante presupponenza di chi le dovrebbe – incondizionatamente – far rispettare?
Eppoi c’è una cosa che non riusciamo a digerire. La complicità dei vertici dell’Ente Parco delle Madonie, sindaci, componenti il Consiglio del Parco, compresi. L’onere della salvaguardia di quei luoghi rimane in capo al Parco e su questo tema non avrebbe dovuto tergiversare, o vare il gioco delle tre carte.
Come a dire che “questa cosa s’ha da fare”. Punto e basta,facendola passare sulla testa delle comunità residenti, quindi della Comunità del Parco.
Sia chiaro, teniamo vivo anche noi il desiderio della conoscenza e del progresso, anche a costo di pagarne un prezzo, tuttavia nessuno mantiene posizioni integraliste (no e basta!), la sintesi delle varie anime degli ambientalisti e dei laici è quella di realizzare una struttura strettamente necessaria ad accogliere l’occhio di mosca (Flyeie) e di spostare a valle il resto, contenuto in oltre 755 mc di volume edilizio, o di non spianare, a tutela del valore geomorfologico della cima, 360 mq di area da adibire a parcheggio (progettato su “terra ferma”, al contrario della struttura che da un lato poggia su una “terra armata” di contenimento. Clicca QUI per visionare la sezione).
Quanto è utile alla ricerca scientifica e al progresso un parcheggio di queste dimensioni?
Oltre a invitare i lettori ad aderire al movimento “Salviamo la Mufara”, inviando una mail a salviamolamufara@gmail.com, ci sarebbe una penultima cosa da dire, l’ultima spetta al TAR Sicilia, che dal prossimo 24 settembre inizierà il percorso decisorio.
“Se non accettate le nostre condizioni ce ne andiamo alle Canarie”, sarebbe il tormentone delle Agenzie spaziali che ci accompagna oramai da anni. Oppure, a livello locale, “la Sicilia e le Madonie perderanno un’occasione unica se le Agenzie venissero costrette a investire altrove”.
Costrette da chi? Da chi si è arrogato il diritto di decidere per l’intero popolo madonita, abituati ad agire nelle segrete stanze e facendo esplodere decine di contraddizioni (eventuali azioni risarcitorie dovranno essere indirizzate a costoro), o da coloro che invocano chiarezza, trasparenza e rispetto delle norme?
La Sicilia e i siciliani, se solo fossero governati da una classe dirigente autorevole – rispetto ai palazzi romani – potrebbero vivere di aria, mare, terra e ineguagliabile ospitalità, stupendosi a occhio nudo, o con strumenti tecnologicamente avanzati (ma non imposti), della bellezza del cielo stellato.