Il ponte sullo Stretto di Messina è una priorità di Matteo Salvini quindi della Lega e del governo Meloni, secondo il Ministro per le Infrastrutture e dei Trasporti i lavori dovrebbero iniziare entro il 2024.
Di questa opera se ne parla dalla seconda metà dell’ottocento e sappiamo di tutto.
Cosa sappiamo
Sappiamo che per attraversalo con il traghetto ci vogliono almeno 20 minuti (Rada San Francesco a Messina e Villa San Giovanni), che il tratto di mare è attraversato da forti correnti e che le raffiche di vento non mancano. L’area è anche interessata da fenomeni sismici, secondo il CNR è un crocevia di faglie attive.
Insomma, le difficoltà non mancano, alla stregua di tecnici (di ogni calibro) che giurano, supportati da avanzate tecnologie, che il ponte sullo stretto di 3.3 km e a campata unica si può fare.
Si batterebbe un record, il ponte di Messina (potrebbe prendere il nome “Berlusconi”) nel suo genere sarebbe unico al mondo, a prescindere dai danni irreversibili che verranno procurati all’ambiente sottomarino.
Scippo proletario
Sappiamo anche che il ministro Salvini, quindi il governo nazionale e per la proprietà transitiva la deputazione eletta in Sicilia, ha chiesto d’imperio alla Regione Siciliana di puntare una “piccola fiches” (insieme alla Regione Calabria), che per le due Regioni varrebbe un miliardo e 600 milioni di euro, da prelevare dal bancomat del Fondo di Sviluppo e Coesione.
Magari si facesse, con la stessa facilità, per tutto quello che attiene alla missione del FSC, in attuazione delle “politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali in attuazione dell’articolo 119, comma 6, della Costituzione italiana e dell’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.
Il ponte è un moltiplicatore economico
In breve, per chi è favorevole alla realizzazione dell’opera faraonica l’infrastruttura rappresenta “un moltiplicatore economico” che potrebbe essere utilizzata anche per il trasporto sui treni dei milioni di container provenienti ogni anno dall’Asia e diretti nel resto dell’Europa.
Attualmente le box boats raggiungono i più grandi porti del nord Europa attraverso lo stretto di Gibilterra e solcando l’Oceano Atlantico. Secondo gli esperti l’eventuale “deviazione” – Rotterdam, Anversa e Amburgo permettendo (sono i più grandi porti del nord Europa, colossi del traffico marittimo) – comporterebbe una boccata di ossigeno anche per l’ambiente.
La linea di demarcazione
Sui favorevoli e contrari la linea di demarcazione è stata segnata, per noi e in verità per pochissimi altri, il punto rimane la condizione di insularità che la Sicilia si è guadagnata anche in uno dei commi nell’articolo 119 della Costituzione: “la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”. La proposta di modifica della Legge costituzionale si è perfezionata il 28 luglio 2022, con l’ultima votazione alla Camera.
Per la cronaca, si è giunti a questo grazie a una serrata battaglia della Regione Sardegna che sul tema negli anni ha manifestato maggiore interesse e legittima preoccupazione.
L’interrogazione parlamentare
A tal proposito a febbraio 2018 gli eurodeputati del PPE Stefano Maulli e Domenico Pogliese hanno “interrogato” la Commissione, preoccupati del fatto che l’Europa al tempo avesse riconosciuto la condizione di insularità di Sardegna e Sicilia e l’Italia in tal senso avrebbe registrato un ritardo.
Di fatto sulla materia l’Europa aveva già dimostrato “un’attenzione particolare”, “rivolta alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, tra cui le regioni insulari”, attraverso l’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).
Le preoccupazione dei due parlamentari europei sarebbero state rassicurate dal Commissario europeo per la politica regionale, Corina Crețu.
Sostanzialmente le due Regioni avrebbero continuato ad avere un canale preferenziale e diretto ai programmi di coesione dell’UE, a prescindere dalla Costituzione italiana che, come abbiamo detto, è stata allineata in un secondo momento.
Il “disegnino” della Commissione
Tuttavia nella risposta agli interroganti la rappresentante della Commissione ha voluto puntualizzare un fatto che per furbizia, obbedienza, opportunità e convenienza (abbiamo motivo di ritenerlo) continua ad essere sottovalutato e ignorato (?) da tutti i livelli istituzionali.
Or dunque, la Crețu, rispondendo alle interrogazioni, ha consegnato alla storia un equivocabile “disegnino”, ovvero, “sono definite come isole i territori aventi una superficie minima di 1 km, con una distanza minima tra l’isola e il continente di 1 km e con una popolazione residente superiore a 50 abitanti, che non dispongono di un collegamento permanente con la terraferma”.
La domanda
A questo punto la domanda che poniamo al ministro Salvini e a tutti i rappresentanti istituzionali della Regione Siciliana (governo e deputazioni regionali e nazionali) è la seguente: il ponte “Berlusconi” rappresenta un collegamento permanente con la terraferma?
Se così fosse la Sicilia, al contrario della Regione Sardegna, perderebbe la condizione di insularità e i benefici previsti dall’articolo 174 del TFUE, oltre che i buoni propositi costituzionali rivolti alle due Regioni italiane insulari.
Ci sarebbe da dire che fino ad oggi non siamo stati travolti da questo “tsunami”, tuttavia articolo 174 e l’insularità in costituzione restano e i rappresentati istituzionali potrebbero cambiare.